Purché gliene si presenti la possibilità, l’essere umano tende per sua natura a sviluppare le proprie potenzialità: “(…) egli manifesterà con chiarezza e profondità i propri sentimenti, pensieri, desideri e interessi; avrà la capacità di attingere dalla propria forza di volontà, di instaurare rapporti interpersonali basati sulla spontaneità dei sentimenti; tutto questo col tempo lo porterà ad essere in grado di rendersi conto dei propri valori e dei propri scopi nell’esistenza. Tutto ciò lo porterà all’autorealizzazione. (…)”
Queste le parole che Karen Horney, una delle psicoanaliste da cui deriva il modello Interpersonale in cui mi sono formata, scrisse nel 1950, a proposito del percorso di ogni individuo verso la realizzazione di sé.
Nella visione della Psicoanalisi Interpersonale ogni sintomo psicologico, malessere o disagio è visto come una difesa messa in atto dalla persona per difendersi dall’angoscia. Il sintomo è l’unica soluzione, come a dire, il male minore, che l’individuo ha trovato per far fronte a tale sofferenza, anche se non ne ha consapevolezza. Ma da dove deriva questa angoscia? Nella visione interpersonale l’individuo “porta nel mondo una vitale necessità di realizzarsi”, è questa la spinta primaria di ogni essere umano. Ma la spinta all’autorealizzazione dipende dal rapporto che il soggetto ha con l’ambiente, con quello famigliare prima, che può incoraggiare o inibire questo potenziale e con la società in cui è inserito poi. Se l’ambiente non accoglie il potenziale dell’individuo ma lo reprime, egli non potrà sperimentare una sicurezza di base tale da potersi esprimere con autenticità e in libertà.
Il sintomo che tanto fa soffrire il soggetto è la modalità che egli ha trovato per far fronte al conflitto generato dalle proprie richieste interne, che mirano ad esprimersi e da quelle esterne, ambientali, da cui egli non si sente riconosciuto e che percepisce come ostili e repressive, ma da cui dipende. È questo conflitto a generare l’angoscia ed è la dipendenza dal mondo esterno, dal suo giudizio, a tenere in gabbia il soggetto, a non permettergli di esprimersi nelle sue potenzialità.
Il sintomo, però, è anche la possibilità per la persona di chiedere aiuto, di pensare a una nuova possibilità di essere nel mondo per se stessa.
Il percorso terapeutico è un processo che mira ad aiutare il soggetto che sceglie di percorrerlo a entrare in contatto con se stesso e con le proprie potenzialità e risorse rimaste bloccate o non riconosciute. La buona relazione terapeuta – paziente può rappresentare la possibilità di un rapporto trasformativo, perché accogliente e non giudicante, ed è importante per favorire una maggiore e migliore consapevolezza ed espressione di se stessi, delle emozioni e sentimenti trattenuti, delle difficoltà ma anche, fondamentale, delle risorse inespresse.
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